ALVIN MCDARREN

Vi ho mentito: il ragazzo più famoso di Denver non è Martin Jamison, ma è Alvin McDarren. Era un genio dell’informatica e secondo i professori avrebbe lavorato per qualcosa di importante da grande, magari per la NASA oppure per i database dell’FBI o anche per la CIA, sarebbe anche potuto diventate Presidente. Il destino di Alvin sembrava essere ancora più brillante di quello di Martin ma, per qualche strana ragione, a Denver le stelle sono destinate a soccombere al buio.

 

Alvin è cieco, da quasi due anni e ha perso l’entusiasmo per la vita.

 

Un sabato sera i signori McDarren erano usciti per il loro anniversario di matrimonio lasciando i due figli in casa. Alvin e Deborah si chiusero in casa e si stravaccarono sul divano con l’intenzione di godersi una bella serata senza i genitori.

 

Deborah aveva quasi finito il liceo e sarebbe andata al college in un’altra città entro pochi mesi per studiare diritto, gli scatoloni al piano di sopra erano già pronti.

 

Immaginate che in questa serata tra fratelli qualcuno suoni al campanello e che la ragazza vada alla porta da sola. Pensate a quei piedi scalzi che si posano uno avanti all’altro sul pavimento di ceramica lasciando piccole impronte sudate come un macabro percorso verso la fine.

 

Ma non era il diavolo quello alla porta. Era Martin.

 

«Ciao Deb, posso entrare?»

 

«Che ci fai qui?» la ragazza uscì in veranda chiudendosi la porta alle spalle e abbassando la voce.

 

«Lo so che non ci sono i tuoi genitori, li ho visti andar via. Dai fammi entrare».

 

«Mi spii adesso? Cosa sei una specie di maniaco?»

 

Martin aveva una mano sulla porta e stava cercando di aprirla, quando la voce proruppe dall’interno.

 

«Debbie? Che succede? Chi è?» Alvin si stava avvicinando.

 

«Nessuno! Solo uno scherzo! Controllo una cosa e arrivo, tu vai a prendere da bere in cucina che i popcorn mi hanno messo sete» cercò di mantenere la voce calma.

 

Poi rivolse la sua attenzione al sorriso beffardo di Martin.

 

«Vai via, non sono da sola e non puoi entrare, ti chiamo io».

 

«Lo so che parti tra poco, voglio stare con te stasera. Tuo fratello non sarà un problema, se glielo ordinerò non parlerà».

 

Funzionava così a Denver: Martin Jamison ordinava e la città eseguiva. Restava solo da capire chi non c’era stato, chi aveva risposto all’ordine con una corda intorno al suo collo.

 

Non si sa come sia potuto succedere, alcuni vicini dicono di aver visto Alvin dare di matto per qualcosa, altri giurano di aver sentito i due fratelli urlare terrorizzati e di aver scorto qualcuno che fuggiva verso il bosco. Quello che invece sanno tutti è che la casa andò in fiamme, quella sera, Alvin rimase intrappolato al suo interno e nonostante gli sforzi di Deborah nessuna porta si aprì. Il ragazzo, disperato, si gettò sulla portafinestra del soggiorno sfondandola e le sue pupille inghiottirono una quantità di vetro tale da risultare inoperabili: due bulbi vuoti trafitti da pugnali trasparenti.

 

Fu un miracolo che Alvin non morì quando esplosero i tubi del gas e fu un dono di Dio che l’unica cosa che gli fu portata via fu la vista, come dissero i genitori. Alvin senza vista non poteva più essere il genio dell’informatica e il dono di Dio divenne presto la maledizione del diavolo.

 

Ad Alvin non fu portata via soltanto la vista, quella sera, ma anche la voce: nessuno seppe mai l’identità della persona che scappava nel bosco. Non avevamo forse detto che Martin Jamison ordinava e la città ubbidiva?

 

Deborah McDarren se ne andò da Denver con una settimana di anticipo e nessuno la vide più e la vicenda venne accantonata. A chi importa di un cieco se non al cieco stesso?