Giovedì h 23.15

 

 

 

Mi sento accerchiata e le vie di fuga cominciano a scarseggiare. Ho lasciato così tante volte la strada, buttandomi a caso tra gli alberi, che non so più se sono andata avanti o se sono tornata indietro. Eppure so che mi sta cercando e che mi prenderà.

 

Non sono preoccupata, sapevo che sarebbe potuto accadere fin dall'inizio, è stata un'eventualità messa in conto e inclusa nel gioco e la sto accettando.

 

Ma non renderò tutto così facile.

 

È difficile parlare mentre cammino e so che la mia voce potrebbe essere una traccia importante per il mio aguzzino, ma non me ne curo perché voglio che voi sappiate la verità.

 

La partita di Martin Jamison aveva dei cattivi e io ero l'unica a saperlo, ciascuno aveva la sua storia e la propria motivazione per volerlo morto, ma ci credereste se vi dicessi che tra di loro le informazioni fluivano senza che altri le percepissero?

 

 

 

La settimana dopo il mio "interrogatorio" mi trovai ad assistere ad una strana scena in un corridoio di scuola.

 

Alvin sembrava infastidito da Bruce e, pur sussurrando, la sua voce recava tutta l'ansia che covava dentro.

 

«Bruce piantala, ti ho detto che non posso».

 

«Sai che non te lo chiederei se non fosse importante. Qui rischio la pelle, amico».

 

«Non sono amico tuo, mi stai parlando solo perché Martin è morto».

 

Bruce alzò le spalle, un gesto stupido visto che Alvin non poteva vedere.

 

«Lo sai che non è così, io e lui non ci parlavamo più».

 

«Da quando hai rovinato la sua festa?».

 

Bruce passava da un piede all'altro, sembrava in crisi di astinenza e mi trovai a chiedermi da quanto non si facesse. Tuttavia non rispose alla provocazione.

 

Alvin stava sistemando i libri nello zaino con movimenti lenti e ripetuti: accarezzava il dorso, ne studiava lo spessore con le mani e poi li rimetteva dentro con una precisione disarmante.

 

«Comunque non mi interessa di quella festa, lo sai che ho bisogno di quelle pastiglie non ce la faccio più, sono pieno di lividi!»

 

«Immagino di doverti credere sulla parola».

 

Bruce arrossì, probabilmente era felice che il suo interlocutore non potesse vederlo.

 

«Mi dispiace per quello che ti è successo, Alvin».

 

Con studiata calma il ragazzo non vedente chiuse lo zaino e se lo caricò sulle spalle, poi volse il capo nella direzione da cui proveniva la voce in modo che Bruce potesse ritrovarsi stampate in faccia le cicatrici che gli contornavano gli occhi.

 

«Bruce, non posso darti quelle pastiglie, fatti aiutare da qualcuno o parla con la polizia, da solo non ce la farai».

 

«La polizia?! Ma lo sai che volevano portarmi dentro per vedere se avessi confessato qualcosa e solo perché qualcuno ha raccontato della festa durante un interrogatorio? Pensano che l'abbia ucciso io!»

 

«No non lo pensano» Alvin si morse il labbro.

 

«Ah no? E perché?»

 

«Perché pensano che l'abbia ucciso io».

 

Bruce sgranò gli occhi, poi sorrise divertito all'affermazione e gli diede una pacca sulle spalle.

 

«Col tuo sguardo laser?»

 

Dio che idiota, pensai alzando gli occhi al cielo e rimanendo ben nascosta dietro al muro da dove non potevano vedermi.

 

Alvin imprecò e girò sui tacchi, ma l'altro lo afferrò per un polso.

 

«No dai scusami! Sono un cretino, ma sono un cretino disperato. Perché avresti dovuto uccidere Martin?»

 

Alvin indicò gli occhi e attese che l'altro ci arrivasse, poi sbottò:

 

«Questo bel regalo me lo ha fatto lui, aprendo il gas in cucina e accendendo una miccia».

 

«Che cazzo...?» fece per iniziare Bruce.

 

Alvin non aveva mai confidato quella storia a nessuno e il dolore che portava dentro era cresciuto fino a diventare troppo per essere contenuto nel corpo di un adolescente. Vomitò tutto in un fiume di parole:

 

«Si faceva mia sorella. Quella sera era venuto a casa per approfittare dell'assenza dei miei, ma lei gli aveva chiuso la porta in faccia ed era tornata da me in soggiorno. Abbiamo sentito un rumore in cucina e quando mi sono alzato per andare a vedere cosa stava succedendo ho sentito l'esplosione. Mi sono svegliato in ospedale al buio, così ho cominciato a chiedere che qualcuno accendesse la luce ma avevo già capito che si era spenta per sempre. Mia sorella me lo ha confidato prima di partire e io non ho detto nulla ai miei genitori perché quello stronzo mi minacciava».

 

Bruce aveva la bocca spalancata da quando Alvin aveva detto: Si faceva mia sorella.

 

«Ma chi lo ha detto alla polizia?»

 

«Non lo so, ma quando mi hanno interrogato sapevano tutto e per loro era una motivazione valida per ucciderlo».

 

Bruce si passò una mano sulla tempia sinistra dove figurava un enorme bernoccolo e stette in silenzio, quasi si aspettasse che il racconto non fosse terminato.

 

«Chi ha detto alla polizia della festa?» domandò Alvin.

 

«Non lo so, ma c'era così tanta gente che potrebbe essere stato chiunque».

 

Tirò un calcio ad un tappo di bic che era stato abbandonato chissà da quanto tempo e lo fece rotolare fin quasi al mio nascondiglio. Fortunatamente decise di non corrergli dietro per tentare di ripetere l'azione e io cercai di acquattarmi di più.

 

Rimasero in piedi, uno di fronte all'altro, persi nei propri pensieri.

 

«L'hai ucciso tu?» lo chiesero contemporaneamente, ma nessuno dei due rispose perché non si fidavano l’uno dell’altro.

 

«Non posso darti quelle pastiglie. Servono a me. Fatti aiutare Bruce, non puoi andare avanti così».

 

«Da chi? Tutti pensano che sono un tossico soltanto perché Martin aveva messo in giro questa voce e aveva raccontato di avermi dato la droga. Se parlo con qualcuno penseranno che l'ho ucciso davvero!»

 

Alvin ci pensò su, poi mise le mani in tasca e cercò qualcosa che infine estrasse. Era un tubetto che conteneva quelle che sembravano caramelle. Ne prese qualcuna e la porse al ragazzo:

 

«Ti posso dare queste, con tutta l'umidità che c'è gli occhi mi fanno un male tremendo e ho bisogno di prenderle. I miei non mi crederebbero se dicessi loro di averle perse, da quando hanno saputo che è stato Martin a farmi questo sono diffidenti persino con me».

 

Bruce prese le pastiglie e le mise in tasca, la sua voce tremava:

 

«Grazie di cuore, amico. Per un po' basteranno, poi mi inventerò qualcosa».

 

«Fatti aiutare. Non puoi continuare a prendere tutte quelle botte. Sapevo che eri pieno di lividi anche se tu non me lo avessi detto perché ne ho sentito parlare qui a scuola. Tuo padre ha bisogno di essere aiutato da qualcuno che non sia un ragazzo di sedici anni».

 

Girò sui tacchi e questa volta se ne andò davvero. Non vidi andare via Bruce Ollis perché lasciai la scena subito dopo Alvin, incredula per quello che avevo appena sentito e impaurita dalla possibilità di essere sorpresa ad origliare.

 

Avevo scoperto a chi servivano le famose pastiglie oggetto della lite tra Bruce e Martin e anche chi aveva fatto saltare in aria la casa dei McDarren, ma continuavo a chiedermi cosa fosse successo veramente alla festa e dove fosse andato Martin quella notte.