Avete mai spiato i vostri compagni di scuola? Li avete mai seguiti nei corridoi facendo finta di avere la musica nelle orecchie o accucciarvi dietro ad un muro per origliare le loro conversazioni?

 

No, perché è da pazzi. Ma provate a dovervi difendere da un'accusa di omicidio ed ecco che svenderete voi stessi come niente.

 

Dal mio punto di vista non è così tragico: non ho amici, le persone che sto pedinando mi hanno sempre bullizzata, inoltre passo inosservata poiché tutti fanno finta che io non esista. Sono una 007 perfetta.

 

Per ora ho parlato di tre persone, curiosi di sentire il seguito? Ancora un attimo di pazienza, prima bisogna parlare della festa.

 

Quel sabato sera i Jamison erano fuori e Martin non aveva perso tempo per organizzare la festa del secolo, certo non poteva immaginare che poche ore dopo qualcuno gli avrebbe fatto la festa!

 

Io me ne stavo alla scrivania, proprio di fronte alla finestra, a studiare e a buttare un occhio nel cortile accanto dove i preparativi procedevano veloci.

 

Il pargoletto dei vicini aveva assoldato qualche amico per trasportare le casse di birra e di superalcolici fin dentro casa e aveva dato ordine al padre di Bruce di sistemare il giardino. Un adulto avrebbe detto a Martin di piantarla e avrebbe avvertito i padroni di casa, ma non il signor Ollis: persino lui aveva paura.

 

Col senno di poi credo che al giardiniere, in realtà, non importasse quello che accadeva tra le mura della villa, ma soltanto come procurarsi altra droga. Bruce se ne stava seduto sui gradini della casetta a loro riservata, a osservare con astio quell'adolescente che si atteggiava a uomo finito e che dava ordini.

 

Gli invitati arrivarono alle sette in punto, strombazzando con i clacson dei loro pick up e facendo stridere le ruote delle loro auto sportive: ciao gente! Dov'è la festa?

 

Alzai gli occhi al cielo, ma non potei resistere alla tentazione di controllare chi vi avrebbe partecipato: la squadra di basket era al completo insieme alle rispettive ragazze, poi qualcuno di quella di football, alcuni ragazzi di squadre avversarie, due o tre skater più grandi, i bulli del supermarket che di solito passavano i sabato sera a rubare nei centri commerciali e Bruce Ollis.

 

Mi sporsi sulla scrivania, andando a sbattere col naso sul vetro della finestra dove comparve un alone di condensa: Bruce e Martin non avevano litigato?

 

La musica andò avanti qualche ora insieme agli schiamazzi adolescenziali degli invitati e alle risate acute delle ragazze. Sentii i miei genitori sbattere le porte e brontolare sul pianerottolo, ma nessuno avvertì i Jamison.

 

Un vetro rotto, poi le risate e gli insulti: quale gioco stupido avranno inventato quei deficienti?

 

Mi affacciai e li trovai a semicerchio in giardino, quasi nascosti dietro a Martin che stava fronteggiando Bruce:

 

«Che ci fai qui? Chi ti ha invitato? Non vogliamo tossici».

 

«Abbassa la voce» lo ammonì l'altro.

 

«Sparisci nella tua casetta e lasciaci in pace, stai rovinando la festa».

 

Bruce afferrò una bottiglia di vetro dalla cassa che si era posizionato vicino e la lanciò davanti a sé.

 

«Cosa stai combinando? Pensi di farmi paura rompendo qualche bottiglia?»

 

Martin si voltò ridendo verso gli invitati come ad incoraggiarli a schernire l'altro.

 

Bruce, che stava continuando a rompere bottiglie, perse la pazienza e tirò fuori una scatoletta.

 

«Che vuoi fare con i fiammiferi? Vuoi un hot dog?»

 

L'altro non sopportava più le risa dei compagni di scuola, persino da casa mia potevo vedere i muscoli tesi sul collo e la smorfia di odio che aveva preso la sua bocca.

 

Lanciò l'ultima bottiglia un po' troppo vicina a Martin, spedendo alcune schegge contro le sue scarpe da ginnastica ma senza lasciare il tempo alle reazioni perché con un urlo selvaggio aveva acceso un fiammifero e lo aveva lanciato sulla pozza alcolica che si era formata. Non si scatenò un incendio, ma le fiamme finirono per lambire le gambe di Martin che imprecò.

 

«Ma che fai? Sei un pazzo! Un piromane pazzo!»

 

«Sarò anche pazzo, ma almeno non sono come te! Guarda cosa hai fatto a Marlene!»

 

Martin, che stava spegnendo le poche fiamme vicino ai suoi piedi pestandole, si arrestò:

 

«Che ne sai tu?»

 

«Pensi che lei non ne abbia parlato con nessuno? Con chi pensi che si sia sfogata?»

 

«E perché doveva sfogarsi con te?»

 

Martin stava facendo il gioco di Bruce e non se ne era nemmeno accorto. Non aveva notato che l'odio sul volto del figlio del giardiniere si era trasformato in un sorriso beffardo, era troppo accecato dalla rabbia, dal pensiero che Marlene potesse averlo tradito e, tra tutti, proprio con lui.

 

«Non ci arrivi?» Bruce allargò le braccia.

 

Arrivarono alle mani, come già li avevo visti fare qualche giorno prima a scuola e nessuno provò a fermarli. Alcuni dei ragazzi montarono sulle loro auto e se la filarono, altri rimasero lì intorno a fare il tifo per il padrone di casa. Alla fine Martin vinse, come sempre, perché nella vita non conta quanto tu soffra oppure sia buono d'animo, chi non si fa remore a calpestare gli altri avrà sempre e comunque la meglio.

 

Questa vita non premia mai, umilia soltanto.

 

Bruce rimase a terra a sputare sangue e Martin sopra di lui a riprendere fiato poi, con un ultimo calcio in pancia, si voltò verso gli altri:

 

«Torniamo dentro, mi è venuta fame!»

 

Si riversarono tutti dentro casa e la festa riprese come se non si fosse affatto interrotta. Talmente era l'affetto dei ragazzi nei confronti del padrone di casa che non notarono nemmeno che lui si era diretto verso la sua Porche e che non era rientrato affatto. Aveva ingranato la retromarcia ed era schizzato via per la strada buia e bagnata, sotto un cielo che non presagiva nulla di buono.

 

Gli altri non si accorsero né di lui né di Bruce che, si alzava tremando, prendeva una bottiglia di vetro e accendeva la vecchia motocicletta Guzzi, comprata a poco senza nemmeno le ruote e rimessa a nuovo con l'aiuto del padre nel vano tentativo di dargli qualcosa su cui concentrarsi. Anche Bruce sparì sgommando nell'oscurità.

 

A quel punto chiusi gli scuri della finestra sospirando, comprendendo che sarei finalmente riuscita a dormire senza tutti quegli schiamazzi in cortile e chiedendomi, con un filo di curiosità dove si fossero diretti i due ragazzi. E il viso di Marlene mi apparve nitido tra i pensieri.

 

Rimasi ancora con le orecchie tese ad ascoltare la musica della festa, il rumore del televisore nella camera dei miei genitori, le macchine che sfrecciavano in strada e le accensioni dei motori di chi andava via, magari qualche invitato che aveva promesso di rientrare presto.

 

Quella fu l'ultima volta in cui vidi Martin, l'ultima in cui sentii il motore della sua Porche che si metteva in moto e l'ultima in cui quel ragazzo poté divertirsi insieme ai suoi amici.