Giada. Spin off di Ti ho cercato tra le nuvole

 

 

      -     Giada sveglia!

       -   Papà?! Sono le sei di mattina, lasciami dormire!

 

L’uomo sradicò in un sol colpo le lenzuola dal letto della figlia e le gettò per terra, poi cominciò a tirarla per i piedi in maniera insistente e fastidiosa. Non ottenendo risultati si rimboccò le maniche con un gran sorriso e cominciò a farle il solletico.

 

La ragazzina rideva con le lacrime agli occhi e la bocca curvata nel sorriso più bello che l’uomo avesse mai visto. Giada era la sua ragione di vita, la prova inconfutabile che gli angeli esistevano e che qualcuno da lassù gli voleva così bene da avergli mandato il più bello di tutti.

 

   Giada riprese fiato senza perdere il sorriso e si mise a sedere sul letto afferrando le calze dal comodino.

     -  Vestiti che oggi ti porto in un posto.

 

La ragazza lo guardò curiosa, poi notando il luccichio negli occhi del padre chiese:

 

-      -    Guardiamo le nuvole?

 

-      -    Guardiamo le nuvole – confermò l’uomo.

 

 

 

Fuori da Torino, percorrendo Corso Casale senza imbottigliarsi nel traffico creato dal 68, forse l’autobus più utilizzato dai cittadini, e svoltando all’incrocio Sassi, c’era una strada che entrambi conoscevano a memoria, battuta da auto, moto e persino furgoni e che si inerpicava su per quella che era conosciuta da tutti come La collina di Pino. Pino non era un signore, né un animale né tantomeno un albero. Pino era, ed è ancora, Pino Torinese cittadina arroccata sulla collina, in mezzo a strade tortuose ricche di tornanti, e famosa per L’osservatorio Astronomico.

 

L’auto, una Escort blu viaggiava sapiente grazie alla guida esperta del conducente. Il papà di Giada conosceva a memoria ogni stradina di campagna che si snodava da quella principale, persino quelle che sembravano cadere a strapiombo come precipizi.

 

Finalmente imboccarono la strada che conduceva all’osservatorio e dopo qualche metro la lasciarono in favore di una sterrata che portava a qualche casa più dispersa nel verde. Circolavano strane voci sulla collina di Pino Torinese; si narrava che di notte si sentissero misteriosi richiami e che, se si osservava qualche casa abbandonata con attenzione, si potesse vedere una lenta processione di fantasmi con una candela in mano.

 

Roba da far rizzare i peli, ma Giada non aveva paura di niente quando era con il suo papà. Non aveva bisogno di credere ai supereroi, non aveva bisogno di controllare sotto al letto prima di dormire, lei sapeva che suo papà non avrebbe permesso a nessuno di farle del male.

 

Il padre accostò nella solita piazzola e, tenendo per mano la figlia, l’aiutò a scavalcare il recinto di un campo, poi proseguirono per qualche metro. Quando furono abbastanza lontani dal recinto si scambiarono un sorriso e l’uomo si gettò a terra come un muratore che, rientrato da lavoro, si accascia sul letto e dorme fino al giorno dopo.

 

Stesi lì per terra osservavano le nuvole che passavano lente, cullate dal vento e dalla loro fantasia che ne modificava le fattezze.

 

-      -   Giada guarda! Una mucca!

 

-      -   Ma dove la vedi? – chiese la figlia aguzzando lo sguardo.

 

Il padre indicò una macchia confusa e la ragazza rise. La mattinata trascorse in questa maniera: un padre e una figlia in un campo verde che osservano le nuvole passare cercando di riconoscere più forme possibili e ridendo come due ragazzini. L’uomo, che intanto aveva abbracciato Giada, esclamò:

 

-       -  Un maiale!

 

La ragazza si mise a sedere e si guardò intorno con apprensione:

 

-       -  Dove?

 

-       -  Lassù! – il sorriso del padre era contagioso, un po’ come quando un amico sbadiglia e tu non riesci a trattenerti e dopo pochi minuti vi ritrovate tutti a sbadigliare e a ridere.

 

Giada cercò la forma che il padre si affannava a indicare con ampi gesti delle braccia e aggrottò le sopracciglia.

 

-        -  A me non sembra un maiale, papà.

 

-        -  Dai, guarda bene! Lì c’è il naso e dall’altra parte la coda arricciata!

 

-        -  A me sembra il tuo capo al lavoro – Giada scoppiò a ridere.

 

Il papà si mise a sedere e strizzò gli occhi come per aguzzare la vista verso la forma che fino a poco prima stava indicando.

 

-        -   In effetti forse hai ragione… Bè, non che faccia molta differenza, eh?

 

Entrambi scoppiarono in una risata e, dopo aver strappato un fiorellino dall’erba, l’uomo lo mise tra i capelli della figlia. In questo gesto, Giada, notò uno sguardo strano che non aveva mai visto negli occhi del padre.

 

-        -   Che succede?

 

-        -   Nulla, tesoro mio.

 

Restarono in silenzio, lei a fissarsi le punte delle scarpe cercando di dare un nome a ciò che aveva visto nei suoi occhi, e lui guardando il cielo, provando a dare un nome, una voce, alle parole.

 

La cosa più semplice e innocua del mondo può scatenare il terrore negli occhi di chi non la conosce e non riesce a darle un nome. Viviamo la nostra esistenza cercando di etichettare ogni oggetto e soprattutto ogni emozione; ci piace una persona, innamoramento. Ci da fastidio che qualcuno tocchi qualcosa di nostro, gelosia. Non ci interessa degli altri, egoismo. Solo una parola non si riesce ad etichettare per bene: la paura. Qualsiasi definizione include il termine stesso o i suoi sinonimi: paura, terrore, spavento, turbamento. Forse è per quello che la paura è l’emozione che ci destabilizza più di tutte.

 

-        -  Giada – l’uomo cominciò a giocherellare con un filo d’erba – Ti ricordi quando eri piccola e per il tuo compleanno la mamma faceva la torta e io ti facevo ballare?

 

La ragazza annuì invitandolo tacitamente a proseguire.

 

-        -   Ti stringevo, ti coccolavo e ti dicevo che ero orgoglioso di vederti crescere e che eri la bimba più bella del mondo.

 

Con molta timidezza l’uomo le rivolse un’occhiata.

 

-       -    Sono ancora il papà più orgoglioso del mondo qualsiasi cosa tu faccia e qualsiasi persona ti senta di essere. Questa cosa non cambierà mai.

 

 

 

 

 

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Commenti: 1
  • #1

    elena demateis (lunedì, 11 luglio 2016 13:46)

    che dire..davvero bello questo momento di divertimento e tenerezza tra un padre ed una figlia dove basta poco ad entrambe per essere felici, un rapporto unico se non raro di questi tempi. complimenti sempre per quello che scrivi.